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Premamai
Elena Ketra, Eolo Perfido
A cura di Uros Gorgone 

 

Dal 18 Dicembre 2023, Project Space, Venezia
542-544 Campo Rialto Novo, 30125 VE
Mercoledi-Sabato 16:00-19:30 ingresso gratuito


 

Mostra di fotografia e video di Elena Ketra e Eolo Perfido. A cura di Uros Gorgone, il progetto esplora la costruzione dei ruoli sociali rispetto ai concetti di femminilità e maternità. Leggi l'articolo su Exibart.

Note Curatoriali

Il progetto indaga il rapporto tra la donna e la maternità che spesso smette di essere una scelta e diventa obbligo istituzionale e sociale. Nella serie di fotografie e video che rappresentano visivamente il concept della mostra, Elena indossa forzatamente una pancia in silicone (di solito utilizzata dalle attrici per simulare la maternità) diventando metafora di tutte le lotte che le donne devono compiere per ottenere la libera gestione del loro corpo.

Premamai parla del femminile materno, evidenziandone al contempo bellezza e ansia, angoscia e tensione. Lo spettro emozionale del progetto di Elena Ketra e Eolo Perfido infatti è vasto. Ci sono immagini rarefatte, dove solo la tensione della pelle e la geometria dello scatto bastano a creare bellezza. Ma dentro Premamai c’è soprattutto quello che non si dice, che è ancora bollato tabù, che si nasconde. Tra le meraviglie della maternità da storytelling, c’è un sottomondo intriso di momenti di sconforto, rabbia, solitudine e dolore, che la società coi suoi limiti e imposizioni causa alle donne. Momenti quasi violenti, neri, che travalicano il tempo e le generazioni, e sono sempre lì uguali a loro stessi. L’oppressione politica, le aspettative sociali, la tradizione rigida che ostacolano la libertà di scegliere per la donna un’altra vita, un altro percorso.

Sottesa a questa tensione attorno al tema della maternità c’è sempre, costante, anche la necessità di una reazione. Che nell’opera viene portata alla quintessenza con un video dalle immagini rapide e catartiche, a tratti lisergiche. Quantomeno, plastica rappresentazione di una presa di coscienza, il diritto di poter urlare dopo aver a lungo covato quella rabbia che può nascere solo dentro l’utero di una donna. Premamai, l’istinto atavico che ci porta a diffondere il nostro DNA, scelta cosciente, scelta imposta, pressione sociale? Le sfumature sono a volte lievi, a volte drammatiche, che smuovono intere generazioni.

Di certo questo progetto non intende in alcun modo opporsi o osteggiare la meraviglia della maternità e di tutte quelle splendide donne che la vivono in modo libero. Vuole invece costituire un grido di dolore e di rabbia che si erge ogni qual volta una donna viene obbligata a divenire “fabrica” sociale prima di essere considerata un essere umano.

Fabrica

Marta Czok

A cura di Jacek Ludwig Scarso

Note Curatoriali

Per la durata della mostra Premamai, una selezione di opere della Collezione Permanente Marta Czok risponde alle tematiche di femminilità e maternità, a cura di Jacek Ludwig Scarso.

Le figure femminili nelle opere di Marta Czok hanno da sempre incuriosito il pubblico: dalle scene di lavoro a quelle di svago, dalla sobrietà del mondo borghese e aristocratico, all’attività continua di cucine e fabbriche. Le opere scelte per la nostra attuale esposizione si rifanno giocosamente alla storia dell’arte: qui  troviamo reinterpretate le convenzioni dei ritratti barocchi e rococò  – le donne, nella formalità di una postura altezzosa, esibiscono capigliature stravaganti (volatili, oggetti ecc.), quasi come figure mitologiche. Ogni personaggio guarda lo spettatore di sguincio, tenendo in mano un gioiello quasi a simboleggiare l’occhio stesso dell’osservatore.

A questi si aggiungono tre opere sulla donna incinta, inclusa quella che porta il titolo di questa collezione: Fabrica. Qui la gravidanza viene rappresentata con ambiguità - un momento liminale, di aspettativa ma anche di pressioni sociali. La parola in latino "Fabrica" ci fa pensare alle pressioni sul ruolo di donna come procreatrice, ma anche al concetto di fabbricazione culturale,  attraverso il quale i ruoli di genere sono costruiti e mantenuti secondo criteri ideologici che ci appaiono "naturali".

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